Mistero di Emanuela Orlandi, smontato il revival di Ferragosto: si fanno parlare i morti, si contestano sentenze

di Pino Nicotri
Pubblicato il 15 Agosto 2022 - 09:58 OLTRE 6 MESI FA
Mistero di Emanuela Orlandi, smontato il revival di Ferragosto: si fanno parlare i morti, si contestano sentenze, Pino Nicotri svela le fandonie

Mistero di Emanuela Orlandi, smontato il revival di Ferragosto: si fanno parlare i morti, si contestano sentenze, Pino Nicotri svela le fandonie

Mistero Emanuela Orlandi, 39 anni dopo. “Nel mistero della sua scomparsa c’è un altro mistero nel mistero”.
A parlare è l’avvocatessa Loriana Longo, difensore di un indagato, Sergio Virtù, ampiamente prosciolto già in istruttoria. E quale sarebbe questo mistero nel mistero? Mistero che oltretutto ha eclissato pochi giorni dopo la sua ricomparsa il mistero estivo della scomparsa dal cimitero del Verano della bara col cadavere di Katty Skerl. Ragazza la cui uccisione il 21 gennaio dell’84 si vuole collegata alla scomparsa di Emanuela Orlandi. L’avvocatessa parla con calma, ma senza esitazione:
 
“Repubblica dal 6 agosto ha pubblicato vari articoli, ripresi da altri giornali e tv, che vogliono risollevare con clamore il mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi, sparita il 22 giugno di 39 anni fa, 1983. Li ha pubblicati il 6, il 9, l’11  e il 12 agosto. Articoli che tirano in ballo il solito Enrico De Pedis e il mio cliente Sergio Virtù anche citando vecchi atti giudiziari come fossero inediti quando invece sono stati ampiamente pubblicati già da  anni. Si tratta di articoli che hanno uno scopo ben preciso”. 

Quale?

“Mirano a far riaprire l’indagine giudiziaria archiviata da vari anni dalla Procura della Repubblica di Roma per mancanza di indizi e prove credibili. Archiviazione confermata dal giudice per le indagini preliminari Giovanni Giorgianni e in seguito anche dalla Cassazione. Un’archiviazione passata quindi al vaglio da vari organi giudiziari, che l’hanno tutti confermata. Nell’articolo di Repubblica del 9 agosto c’è scritto chiaro e tondo che si tratta di “un’indagine che Pietro Orlandi e il suo avvocato Laura Sgrò vorrebbero, adesso, che venisse riaperta”.

Ma il mistero nel mistero quale sarebbe?

“Il mistero è – ripeto: non sarebbe, ma è – il seguente: come si può pensare di far riaprire in assenza di un qualunque indizio, prova o fatti nuovi un’indagine archiviata anche dalla Cassazione? Si tratta solo dell’assurda pretesa di ignorare le archiviazioni, di ignorare cioè anni di lavoro della magistratura, polizia e carabinieri e di interpretare le stesse vecchie carte giudiziarie in tutt’altro modo. Un modo, si badi bene, del tutto arbitrario, però utile a suscitare un clamore mediatico che travalica la realtà investigativa e giudiziaria, ma persegue interessi più specifici e sicuramente meno nobili. Peraltro le preannunciate richieste di perizie foniche oltre che assolutamente inutili ed inconferenti sarebbero anche tardive e inammissibili: avrebbero dovuto essere avanzate in sede di opposizione alla richiesta di archiviazione della Procura”.

L’avvocatessa fa una pausa. E poi conclude

“Benché in vacanza agostana, sto mettendo assieme i vari articoli dei giornali per capire meglio chi querelare. Non si può attaccare in questo modo chi, come il mio cliente Sergio Virtù, è stato ampiamente prosciolto. Attaccandolo per giunta con l’utilizzo delle stesse carte poco credibili cestinate da vari organi della magistratura.
Qui mi pare che siamo al reato di diffamazione e/o calunnia, oltre che al calpestare il diritto all’oblio di chi ha già subito indagini e ne è anche uscito pulito.
Per giunta, non ci si può inventare l’appartenenza alla sempre più mitologica banda della Magliana di persone che, come il mio cliente, non ne hanno mai fatto parte. Persone che non sono mai neppure state accusate di farne parte. O, se ne sono state accusate, sono state processate e assolte. Calpestare le sentenze giudiziarie per inventarsene di nuove, totalmente inesistenti, non credo sia giornalismo”.

Ma la libertà di stampa….

“Ma la libertà di stampa non è questa! Non è libertà di persecuzione! Il giornalismo è altra cosa. Nelle foga accusatoria Repubblica non s’è neppure resa conto che in un articolo scrive che dei testimoni, hanno riconosciuto Sergio Virtù nell’atto di indicare Emanuela Orlandi con un braccio a un suo presunto sodale,  ovviamente per poi rapirla. Sempre se si può definire testimone chi riferisce fatti o presunti tali dopo un quarto di secolo.
E che in un articolo successivo ha scritto l’esatto contrario. Ha cioè scritto che altri testimoni hanno riconosciuto quella persona non nel mio cliente, ma in un tale che si chiamava Marco Sarnataro.
Si chiamava, perché ormai morto. E morto già quando suo padre Salvatore ha voluto riferire agli inquirenti ciò che a suo dire gli avrebbe rivelato il figlio in carcere quando erano entrambi detenuti. Figlio che, essendo morto, non poteva certo contraddirlo”. 

Da parte sua è molto chiaro anche l’avvocato Maurilio Prioreschi, a suo tempo difensore di Enrico De Pedis e in seguito legale della sua vedova Carla Di Giovanni

“Capisco che nel vuoto agostano di notizie di cronaca i giornali per non perdere troppi lettori pubblichino notizie clamorose che sono solo clamorose, fanno cioè baccano, ma non sono notizie. In questo caso però il clamore non può nascondere né sostituirsi alle sentenze che parlano chiaro.
Dopo l’archiviazione del 1997 disposta dall’allora giudice istruttore Adele Rando per altri imputati ci sono state le archiviazioni per i nuovi indagati decise dal procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone – da anni attaccato anche in modo volgare per mano dei colpevolisti a tutti i costi. E dal giudice per le indagini preliminari Giovanni Giorgianni e decise infine dalla Cassazione. L’ho fatto cortesemente notare al giornalista di Repubblica scatenato nel riutilizzo pro domo accusatoria di atti giudiziari morti e sepolti, ma non c’è stato nulla da fare”. 

Vengono citati come assolutamente credibili del mistero “supertestimoni” come Maurizio Abatino e Sabrina Minardi benché demoliti dalle inchieste giudiziarie. 

“Sì, però omettendo anche e soprattutto che Abatino quando ha deciso di fare il collaboratore di giustizia è stato colto con le mani nel sacco. Addebitava a persone ormai morte delitti commessi in realtà da persone ancora vive. Un escamotage usato per evitarsi le rappresaglie dei veri colpevoli, ancora ben vivi. Scoperto, Abatino ha dovuto scusarsi in aula davanti ai magistrati.
E omettendo anche che la Minardi non solo è stata trovata inattendibile dai magistrati, tra l’altro perché ha indicato come “prigione di Emanuela” luoghi che era impossibile lo fossero stati. Ma nel corso di una telefonata, intercettata e da lei, Nicotri, pubblicata, è stata anche definita mitomane dalla sua stessa sorella Cinzia”. 
 
Adesso salta fuori la “lettera segreta” del 29 agosto 1989 di don Piero Vergari, definito “indagato per la scomparsa della Orlandi”, all’epoca rettore della basilica di S. Apollinare, scritta all’allora premier Giulio Andreotti, democristiano, per chiedergli un piccolo favore.
Marco De Pedis, fratello di Enrico, per fare un piacere a don Vergari, che conosceva perché coi propri fratelli lo aiutava con soldi e cibo a organizzare le mense per i poveri,  aveva preso a lavorare nel suo ristorante Popi Popi a Trastevere due profughi polacchi,  Jean e Taddeo.
La sera del 18 agosto un controllo di polizia aveva ritenuto che ai due polacchi mancassero alcuni documenti tra quelli necessari per poter lavorare in un ristorante. Il Popi Popi rischiava perciò una multa e don Vergari, sentendosi in colpa, perché era stato lui a chiedere con insistenza al Popi Popi di far lavorare i suoi due assistiti, chiese ad Andreotti con una lettera se poteva fare qualcosa per evitare sanzioni al ristorante.
E Andreotti rispose con una lettera il 9 ottobre, cioè con oltre un mese di ritardo, quando ormai era troppo tardi per poter intervenire a favore del Popi Popi.
Anche qui ci si dimentica di alcuni particolari”. 

Quali elementi del mistero?

“Intanto don Vergari, contrariamente a quanto scrive Repubblica,  non è mai stato indagato in senso formale per concorso in sequestro di persona, cioè della Orlandi, tant’è che è stato prosciolto senza essere stato mai neppure interrogato.
Però lo si vuole a tutti i costi indagato a pieno titolo e prosciolto per errore o per malafede così come si vuole a tutti i costi Enrico De Pedis boss della banda della Magliana. Che il sacerdote non fosse né davvero sospettato né formalmente indagato lo ha chiarito a suo tempo la stessa Procura della Repubblica con un apposito comunicato.
Al sacerdote era stato notificato un avviso di garanzia per potergli sequestrare legalmente il computer e cercarvi quanto necessario per ricostruire, ancora una volta dopo quella di De Gasperis nel ’95-‘97, la vicenda della sepoltura di Enrico De Pedis.
La lettera di don Vergari e quella di Andreotti, trovate nel computer, erano talmente segrete da essere state scritte la prima su carta intestata della basilica di S. Apollinare e la seconda su carta intestata del Presidente del Consiglio dei ministri, regolarmente protocollata”. 

Altri particolari dimenticati?

“Soprattutto il solito: Enrico De Pedis  con la scomparsa della Orlandi NON ha mai avuto nulla a che fare. Non è neppure vero che a salvarlo da una condanna giudiziaria “maglianese” è stata la sua morte, a inizio del ’90. Per il semplice motivo che NON aveva in corso nessun processo e non aveva ricevuto nessuna nuova comunicazione giudiziaria o avviso di garanzia che dir si voglia.
Tutte queste storie e pettegolezzi, come la faccenda delle “lettere segrete” di don Vergari e Andreotti, attirano e affascinano i lettori lanciando i sospetti più biechi, ma questo fascino si regge su falsi enormi. Su De Pedis “boss della banda della Magliana”, su don Vergari “indagato”, su Sabrina Minardi attendibile ma volutamente ignorata dai magistrati. Idem per i vari Abatino, Marco Fassoni Accetti e chi più ne ha più ne metta.
Ormai questa narrazione fasulla e bugiarda quasi ventennale è prigioniera di se stessa. Se si ammettere la verità, e cioè che De Pedis non c’entra un fico secco né con la famosa banda né con la scomparsa della Orlandi, tutto il palco crollerebbe. E con lui le innumerevoli messe in scena e canovacci man mano che si metteva sotto i riflettori i “supertestimone” di turno”.  

Prioreschi mi indica una pila di faldoni e continua con fervore crescente il suo j’accuse

“Ma che si mettano d’accordo! Ogni volta si è voluto giornalisticamente credere ai vari Alì Agca, allo 007 fasullo Luigi Gastrini, a Maurizio Giorgetti, a Sabrina Minardi, ad Antonio Mancini, ai “preti pedofili di Boston” capitanati dal cardinale Bernard Law, perfino alla pista del Lichtenstein con Emanuela ospite forzata nella reggia del principe Hans Adam, a Sarnataro padre, Abatino, Marco Accetti… Ognuno con la sua “verità” diversa dalle “verità” degli altri, ma tutte una più fasulla dell’altra. Pare una versione accattona di “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello:  romanzo anche quello uscito a puntate….”.

L’avvocato è un fiume in piena

“Vogliamo sostituire ai magistrati, ai processi e alle sentenze le puntate di programmi televisivi, i giornalisti, i loro articoli e i loro desiderata? Vogliamo sostituire alle sentenze giudiziarie e ai fatti certi le narrazioni di Wikipedia? Che definisce Enrico De Pedis “un mafioso italiano, boss dell’organizzazione mafiosa romana banda della Magliana” nonostante sia sempre stato assolto anche dall’accusa di esserne stato un semplice gregario.
Wikipedia che definisce “organizzazione mafiosa” la banda in questione quando invece la magistratura ha escluso che avesse le caratteristiche tipiche della mafia, a partire dal controllo capillare del territorio. I nomi dei condannati definitivi per avere fatto parte della banda della Magliana sono in realtà pochi e di gente abbastanza anonima. Nulla giustifica la narrazione mitologica e fin troppo romanzata che ne è stata fatta”.

Prioreschi apre un faldone del mistero a caso

“Ecco, legga qui. Ci sono i racconti della Minardi sulle cene in casa di Andreotti in corso Vittorio Emanuele II “assieme a De Pedis latitante”, con annesse vagonate di quattrini di origine ovviamente criminale. Il tutto con la scorta sotto casa di Andreotti che evidentemente era cieca o giocava a briscola. E pensare che era una scorta talmente sospettosa che nel febbraio 1979 ha sparato e ucciso un automobilista, il medico e artista Luigi Di Sarro, perché non aveva obbedito al segnale di fermare per controlli la propria auto”.

Avvocato, però almeno i pretesi scoop recenti di Repubblica possono avere una giustificazione

A definire Enrico De Pedis “boss della banda della Magliana” è stato il magistrato Giancarlo Capaldo, procuratore aggiunto della Repubblica, nella sua requisitoria finale sull’ultima rata di indagini sul mistero Orlandi. E’ naturale che un giornalista creda a quanto messo per iscritto da un magistrato in una sua requisitoria, difficile pensare che abbia invece commesso un falso in atto pubblico più una diffamazione e una calunnia.
Inoltre il procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone ha sì scelto l’archiviazione come sbocco della requisitoria di Capaldo, contrario all’archiviazione, ma non ha eliminato le affermazioni  su De Pedis. Anche qui: difficile che un procuratore della Repubblica possa pensare che un suo procuratore aggiunto faccia certe affermazioni basandosi sul nulla o su articoli di giornali. Ecco spiegato perché Pignatone non ha cancellato quell’espressione. Insomma, i miei colleghi non hanno tutte le colpe.
 
“Lei ha ragione, ma i suoi colleghi potrebbero rendersi conto di quanto si è reso conto lei documentandosi in modo quasi ossessivo per anni. O no?”.

L’avvocato fa una pausa. Emette un lungo sospiro e aggiunge:

“E dire che la mia assistita Carla di Giovanni è morta prematuramente anche per il dolore della ingiustificabile persecuzione contro suo marito. Andata avanti interrottamente dal settembre 2005, su una questione, la sepoltura negli scantinati della basilica di S. Apollinare, già ampiamente chiarita dal magistrato Andrea De Gasperis una decina di anni prima.
Ampiamente chiarita già nel secolo scorso, ma stranamente riesplosa in modo vergognoso anche oggi. E non dimentichiamo che i magistrati hanno accertato che la telefonata anonima alla redazione di “Chi l’ha visto?” che nel 2005 lanciò il tormentone di De Pedis ”rapitore” di Emanuela e il grottesco sospetto che fosse sepolta nella stessa bara di De Pedis, è una telefonata che non è partita dall’esterno della Rai. Ciò significa quindi che è partita dall’interno della Rai.
Perciò è legittimo pensare che sia stata una trovata per mettere “Chi l’ha visto?” sulla scia dello strepitoso successo del romanzo Romanzo criminale, del quale era in arrivo a settembre anche la versione cinematografica e poi la serie televisiva.
Il Romanzo criminale lo aveva scritto il magistrato Giancarlo De Cataldo per raccontare in forma molto romanzata la vita della banda della Magliana, ma molti hanno preferito credere e soprattutto far credere che fosse “la vera storia” della banda”.

E il mistero della scomparsa della bara di Katty Skerl dal cimitero del Verano?

Già dimenticata. Portar via dal Verano una bara non interrata, ma infilata in un fornetto dell’apposito muro tipo “colombaie”, non è un’operazione impossibile e neppure molto difficile per chi vuole provocare scalpore. Spacciarsi per dipendenti di pompe funebri è abbastanza facile e le cronache dimostrano che il Verano non è blindato come Fort Knox. 
A parte questo, l’elemento che a dire del fotografo e regista di nicchia romano Marco Fassoni Accetti, per tutti ormai MFA, lega l’uccisione della Skerl alla scomparsa di Emanuela Orlandi, scomparsa della quale lo stesso MFA si è invano autoaccusato, sarebbe una camicetta col logo di abbigliamento maschile viafrattina. Via Frattina come la via Frattina dove, a dire degli scombiccherati “komunikati”  dei soi-disant rapitori turchi, Emanuela Orlandi una volta era andata dal dentista.
MFA ha “rivelato” da tempo, chissà su quali basi, che la bara è stata trafugata dagli assassini per fare sparire le prove. 
E di recente ha “rivelato” anche che quella camicetta è stata nascosta a Cinecittà, nella scenografia di “Habemus Papam” di Nanni Moretti, in alto, nel colonnato del Bernini ricostruito per il film. Scenografia riciclata per altri film di altri registi.
MFA tempo fa ha invitato il giornalista del Corriere della Sera Fabrizio Peronaci ad andarci con lui per vederla coi propri occhi.  Invito stranamente rifiutato. Molto stranamente, visto che Peronaci l’uccisione della Skerl l’ha definita addirittura “Il delitto del secolo”, scrivendo un intero libro con tale titolo. 
 
Come che sia, guarda caso nei giorni scorsi a Cinecittà c’è stato un incendio. Perciò: addio camicetta. E addio all’asserito legame col caso Orlandi.